domenica 17 dicembre 2017

Biennale di Venezia...Arsenale


Meglio tardi che mai, pubblico le foto dell'ultima Biennale, che ho visitato lo scorso agosto, nella settimana più calda dell'anno...
Ridotta sul lastrico a fine giugno dall'INPS, ho dovuto organizzare una visita in Biennale all'insegna del risparmio: viaggio articolato con cambi vari di autobus e treno per spendere meno e notte in tenda in campeggio a Campalto...bella la tenda e tutto...peccato che fosse piazzata vicino a un bar con tedeschi festaioli e giapponese ubriaco che ha cantato Let it be (l'unica strofa conosciuta ripetuta a oltranza) fino alle 3 di notte, e sveglia la mattina dopo alle 6 sempre a causa dei tedeschi che credevano di esserci solo loro. SILENCE PLEASE!!!
Ma passando alla Biennale, VIVA ARTE VIVA, è una mostra a episodi che si susseguono come i capitoli di un libro, che vuole lasciare gli artisti liberi di scrivere il loro racconto nella molteplicità e varietà delle pratiche artistiche contemporanee.




Iniziamo con l'Arsenale:

Entrando si incontra il Padiglione dello Spazio Comune con le opere di Maria Lai, a cui si è voluto rendere omaggio mettendo in mostra diverse opere che uniscono materiali e artigianato della sua terre d'origine, la Sardegna:





... "millenni di silenzi, di tentativi di poesia, di pani delle feste, di filo di telaio".







Il Padiglione della Terra, che riunisce utopie, constatazioni e sogni attorno al tema dell'ambiente.

























Il Padiglione delle Tradizioni, recuperate dopo il rifiuto imposto dal secolo dei Lumi, perché costituiscono il substrato culturale di ogni popolo, che finisce inevitabilmente per riemergere nella realtà attuale.

Una scultura dell'artista coreano Yee Sookiung, fatta di pezzi di recupero di vasi tradizionali prodotti da manifatture attorno a Seoul; ogni pezzo che presenta qualche differenza rispetto ai modelli tradizionali viene scartato e distrutto.




Il padiglione degli Sciamani.
Alcuni artisti contemporanei si inseriscono nella tradizione degli artisti-sciamani alla Beuys, che secondo la definizione duchampiana sono animati da una visione interiore che li rende missionari dell'arte per l'umanità.
In questi artisti la componente spirituale diventa azione politica, sociale che spesso passa attraverso azioni terapeutiche che spesso però non escludono il gioco e l'ironia.

Al centro del padiglione, una grande tenda dall'aspetto vagamente  biomorfo, accoglie i visitatori...










Nel video dell'artista brasiliano Hairson Heràclyto, tre uomini vestito di bianco purificano, attraverso un rito, tre luoghi in cui all'epoca dello schiavismo si svolgeva la tratta degli schiavi rapiti in Senegal


Il Padiglione delle Tradizioni, recuperate dopo il rifiuto imposto dal secolo dei Lumi, perché costituiscono il substrato culturale di ogni popolo, che finisce inevitabilmente per riemergere nella realtà attuale.

Una scultura dell'artista coreano Yee Sookiung, fatta di pezzi di recupero di vasi tradizionali prodotti da manifatture attorno a Seoul; ogni pezzo che presenta qualche differenza rispetto ai modelli tradizionali viene scartato e distrutto.





Il padiglione dei colori.
La percezione dei colori si differenzia a seconda delle persone e delle culture e questo porta oggi a riconsiderare gli approcci fenomenologici dell'arte.



Nel padiglione della terra, una goccia d'acqua scavava pile di carta riproducendo un fenomeno geologico; nel padiglione dei colori è invece una goccia d'inchiostro a cadere su una sfera colorandola di nero e macchiando la stoffa intorno. L'opera è dell'artista giapponese Takesada Matsutani.


Judith Scott è un'artista affetta da sindrome di Down, che per 18 anni ha lavorato per 5 ore al giorno in uno spazio collettivo di creazione eristica a Oakland. Dapprima con la matita con disegni fatti di linee intrecciate, per passare poi alle sculture realizzatore  materiali di recupero con cui crea forme celate da grovigli di fili colorati.
L'ultimo padiglione è dedicato al tempo e all'infinito. Un tempo che si distende in linea retta o che si ripropone in maniera ciclica con un futuro già iscritto nel presente o un tempo visto come presente assoluto o come infinito sognato...
Una delle opere più curiose della mostra: il padiglione georgiano con una casa dove piove all'interno.












Nel Padiglione Italia, l'opera che mi ha colpito è quella di Roberto Cuoghi con le sue figure di Cristo trasformate in reperti fossili attraverso un particolare processo di congelamento...buona nelle intenzioni anche l'idea di Giorgio Andreotta Calò, che ha voluto recuperare un rito dell'antica Roma che mette va in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti, in un particolare giorno dell'anno, grazie poteri di particolari conchiglie, ma nella realizzazione era un po' difficile cogliere i vari elementi dato che lo spazio era quasi completamente che buio e non c'erano indicazioni su come accedere al secondo piano dell'opera, sempre che si potesse accedere, ad oggi non l'ho ancora capito...
Parte seconda: i Giardini e alcuni altre opere sparse per la città.