giovedì 25 luglio 2013

55esima Biennale di Venezia



Ovvero...Il Palazzo Enciclopedico.
Il tema dell'esposizione prende spunto della visionaria idea dell'artista italo-americano Marino Auriti, che il 16 novembre 1955 depositò all'ufficio brevetti i progetti di un Palazzo Enciclopedico che avrebbe raccolto tra le sue mura tutto il sapere dell'umanità. Il sogno di un museo universale, su cui Auriti lavorò per anni: un sogno che nei secoli ha accomunato artisti, scienziati, letterati e che nella società odierna, dove la rete ha sostituito le vecchie enciclopedie cartacee e dove la conoscenza ha un'evoluzione rapidissima, ci affascina ancora. 
La Biennale curata da Massimiliano Gioni è strutturata come una Wunderkammer, una camera delle meraviglie che tenta di catalogare il mondo non in maniera esaustiva ma lanciando spunti, prospettive alternative, nuove chiavi di lettura, regole ed eccezioni.
Tra gli artisti scelti anche molti non più giovani o deceduti, spesso artisti di nicchia che sono emersi in maniera lenta, magari dopo anni di lavoro nascosto.

Purtroppo quest’anno la Biennale l’ho dovuta vedere un po’ di corsa (per poi correre a prendere il treno…che ho quasi rischiato di perdere), il che non è l’approccio ideale per un’esposizione come questa, che per apprezzata nella sua complessità, meriterebbe tempo e tranquillità.
Sarà forse per questo motivo che a livello di impatto visivo la Biennale di due anni fa (mi riferisco in particolare al padiglione Italia) mi aveva colpito maggiormente.
Premessa: la 54esima Biennale aveva tante cose criticabili: Nel padiglione italiano erano esposte un’accozzaglia di opere più o meno valide scelte da personaggi più o meno famosi, che riempivano lo spazio dalla terra al soffitto, stile pinacoteca settecentesca; all’ingresso c’era un cartello, con scritte testuali parole: “Se volete capirci qualcosa del padiglione Italia, prendete un’audioguida: 5 euro”…ma quell’anno il curatore era Sgarbi e l’educazione non è certo uno dei suoi punti forti. Per finire, poi, c’era quell' assurdo museo della mafia di cui proprio non ho capito la necessità.
Nonostante ciò, come dicevo, l’impatto visivo dato da tutto quell'accumulo di opere mi aveva colpito e avevo apprezzato molto l’esposizione dei giovani artisti delle accademie d’Italia all’arsenale-nord.
Questo forte impatto visivo-emotivo quest’anno mi è un po’ mancato. Trovo comunque che questo sia consono alle scelte più di nicchia del curatore Massimiliano Gioni che penso abbia svolto egregiamente il suo compito; la sua Biennale è stata molto apprezzata e ha avuto poche critiche negative. L’intera esposizione è stata veramente strutturata con rigore enciclopedico, tanto che ci si potrebbe divertire a dividere le opere per categorie: piante, animali, anatomia, scienza, religione…
Con le prossima galleria fotografica voglio lanciare alcune suggestioni per chi andrà a visitarla nei prossimi mesi. 




And the winner is...Tino Sehgal, con una performance ai Giardini dove una serie di persone comunicano tra loro in uno strano linguaggio fatto di vocalizzi, suoni, canti, movimenti i danza, movimenti lenti o simili a spasmi...tutto sembra avvenire spontaneamente e in modo casuale agli occhi del pubblico, ma in realtà la performance è totalmente orchestrata dalla regia dell'artista.
Francamente mi sfugge un po' il legame tra l'opera e il tema della Biennale...forse che Sehgal abbia voluto creare una sorta di linguaggio che permetta una comunicazione universale? Non credo sia così visto che il visitatore resta stranito di fronte ai performer...Forse questa non è tra le sue opere più riuscite, probabilmente la giuria ha voluto premiare più in generale l'artista, piuttosto che la specifica opera.


Il padiglione vincitore invece è stato quello dell’Angola con Luanda, Encyclopedic City; la curatela è stata affidata all’associazione Beyond Entropy.
Luanda è presa come modello dell’evoluzione rapidissima e spesso a-progettuale delle città dell’Africa sub-sahariana. Altissima densità abitativa, con edifici che si sviluppano per lo più orizzontalmente, mix di condizioni urbane e rurali, mancanza di infrastrutture…ne deriva uno spazio complesso, ricco di contraddizioni e conflittualità, di cui è difficile dare una lettura, organizzare la conoscenza. Il padiglione, attraverso le fotografie di Edson Chagas, si domanda dunque quali modi di conoscenza alternativi si possono utilizzare per decifrare una città come Luanda.






Il mio padiglione preferito: quello russo, con l’opera di Vadim Zakharov Danae. Entrando nel padiglione al centro della prima sala si trovava un secchio che a intervalli regolari veniva sollevato da una corda, fatto passare attraverso un buco e svuotato del suo carico di monete d’oro. In un’altra sala in cui solo le donne potevano entrare “a proprio rischio e pericolo” cadeva una pioggia di monete dorate i “Danae” appunto che le spettatrici potevano raccoglie e gettare nel secchio (tenendo una moneta come souvenir). In una sala superiore un performer vestito elegantemente sedeva a cavallo di una trave e tra un momento di immobilità e l’altro in cui sembrava intento a riflettere su chissà quali importanti questioni, cavalcava e mangiava arachidi gettando a terra i gusci. Sullo sfondo una frase recitava così:
Gentlemen, time has come to confess our Rudness, Lust, Narcissism, Demagouguery, Falsehood, Banality and…
Dovrebbe essere, a una prima osservazione, un’opera femminista, che esalta la donna come produttrice di ricchezza (valori), abbassando il maschio come produttore di nulla, ma in realtà può essere anche un’opera sul funzionamento dell’economia moderna che consiste in un continuo ricircolo di denaro fine a se stesso…ma come mai ciò è associato alla donna visto che questo tipo di economia se la sono inventata gli uomini?






Alberi...


Il Kreupelhout, del padiglione belga è l’albero storto, storpio, nodoso: che non può raddrizzarsi, cresce piegato, da cui di ricavano grucce per coloro che al pari dell’albero sono storpi, piegati.
 I nodi possono essere creati dalla ragione, sono invisibili e possono essere sciolti; ma possono essere anche creati dalla natura: questi sono visibili e irrecuperabili, non si possono sciogliere.
La parola kruepel significa storpio ed è una parola rifiutata, sordida, che viene confinata nei luoghi che la rappresentano, ma che inevitabilmente si insinua con i suoi rami nodosi nel nostro presente solo in apparenza terso.
L’albero è completamente realizzato con la cera e inserti di frammenti lignei.





 L’albero-pendolo di Kriìs Salmanis serve da testimone dell’invisibile, traccia dell’annaspare disperato di una piccola Nazione, obliterata dai tassi di disoccupazione cavalcanti e dall’emigrazione massiccia della propria forza-lavoro, nell’irreversibilità di una crisi economico-identitaria. La rimozione del singolo albero diviene emblema del colossale abbattimento di intere foreste, in Lettonia, ove le cicatrici lasciate dal taglio indiscriminato sfigurano e deformano il paesaggio rurale – che, nella sua forma originaria, fu elemento fondante nella costruzione dell’identità nazionale lettone a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Viste sublimi di foreste furono, tra le altre cose, segni distintivi dei dipinti di Vilhelms Purvitis: artista fondamentale nella cultura lettone dell’epoca e fondatore dell’ Accademia d’ Arte di Lettonia.


Da Alise Tifental, Just what is it that makes Latvian art so different, so Latvian?                                                                                                                                                             In “North by Northeast”, catalogo, p. 18


I bellissimi disegni di Patrick van Caeckenbergh




Gli alberi ricostruiti del padiglione finlandese...






Gli “sgabelli volanti” del padiglione tedesco...





I magnifici piccoli quadri di Ellen Altfest che rappresentano parti del corpo maschile con uno stile pittorico iperrealista per cui per dipingere una superficie di pochi centimetri l’artista può impiegare anche quindici mesi.










Gli ex-voto del santuario di Poggibonsi: teste, braccia, gambe, le diverse parti del corpo per cui si chiedeva o si otteneva la grazia di una guarigione.







Le sculture di Sawada Shinichi, artista affetto da autismo che trova nella scultura un suo peculiare modo di comunicare con gli altri.




Il divertente Photo Safari di Vladimir Peric





Una raccolta di foto di bimbi molto piccoli dove le madri sono presenti ma sempre nascoste: da un telo che le copre totalmente camuffandole da “poltrone” su cui siedono i bambini ritratti o mostrando solo un braccio che regge il piccolo.





Abbiamo anche avuto la fortuna di vedere l’intervento di Marco Paolini nell’ambito del suo progetto artistico Fèn (fieno). L’attore ha raccontato storie legate al lavoro artigianale, alla raccolta del fieno nelle “mete”, al terremoto del Friuli, a quello dell’Aquila e alla vita dei fratelli Cervi, cui fa riferimento l'opera esposta nel Giardino delle Vergini: un covone che riproduce un mezzo mappamondo su cui si inerpica un piccolo trattore realizzato con materiali di recupero e altri strumenti di lavoro tipici del mondo agricolo e operaio. I fratelli Cervi sono ricordati nell’opera non come partigiani ma come agricoltori: il padre prima della guerra acquistò un trattore e vi legò sopra un mappamondo per insegnare ai figli che il loro compito era di lavorare la propria parte di terreno ma che essi non erano che un puntino nel mondo.
Il pubblico era invitato a legare un ciuffo di fieno dal proprio territorio e anche noi abbiamo dato il nostro contributo da Seriate…







Il muro di mattoni trasparenti di Shu Yong su cui sono stati trascritti 1500 slogan, parole, massime, motti popolari tra la società e nel mondo di internet e attraverso il Google-translate sono state tradotte in inglese. Il nome dei mattoni è Guge briks: guge e Google sono parole dalla pronuncia simile; L’esperienza di Google China è stato un interessante fenomeno che mostra la differenza di concezione tra diverse culture, tanto che le traduzioni letterali non riescono a riprodurre in inglese il vero senso delle frasi cinesi. Questo muro rimanda dunque hai muri di differenze culturali che si costruiscono tra diversi paesi e in particolare tra Oriente e Occidente, muri che il più delle volte nascono proprio a causa delle incomprensioni e dell'incomunicabilità.




Da un muro di 1500 mattoni trasparenti a un pavimento di 10.000 mattoni di argilla proveniente dalle zone alluvionate del Polesine; Elisabetta Benassi crea un pavimento dissestato dove ogni mattone risulta marchiato con codici e nomi usati per catalogare i più grandi detriti spaziali che orbitano attorno al nostro pianeta. Il titolo dell’opera The Dry Salvages rimanda allo scritto di T.S. Eliot e unisce un manufatto arcaico e artigianale a un elemento cosmico rimandando al trascorrere inesorabile del tempo, al potere catastrofico della natura e alla possibile catastrofe a cui potrebbero portare le missioni spaziali che si sono conseguite a ritmo incalzante negli ultimi cinquant’anni.

L’essenziale è invisibile agli occhi si legge nel Piccolo Principe, e in questo caso è l’opera stessa a diventare invisibile perché l’opera di Luca Vitone altro non è che un’essenza, o più precisamente una scultura acromatica monolfattiva su tre note: nota di testa, rabarbaro svizzero essenza, nota di cuore, assoluta di rabarbaro belga e nota di fondo, rabarbaro essenza Francia.
L’idea originale di Vitone era di portare a Venezia un oggetto di eternit bonificato, ma non è stato possibile così si è sempre più fatta strada l’idea di lavorare sulla trascurata dimensione olfattiva che è anche la continuazione naturale delle sue ricerche sul monocromo e l’acromatico.
La cosa particolare di un’opera del genere è che finché lo spettatore non si imbatte per caso nel pannello esplicativo non sa che sta “fruendo” un’opera d’arte; si sente solo questo forte odore che dà l’idea di qualcosa di tossico, che fa pensare a qualche disguido, ai fumi chimici prodotti dalle fabbriche che hanno mietuto vittime in passato (amianto) e ancora oggi (vedi la questione dell’ILVA di Taranto).



Con l'opera Apollo's Ecstasy la Biennale ha celebrato il land-artist Walter De Maria, morto il 25 luglio scorso. La muta presenza e la purezza geometrica di trenta cilindri d'ottone per combattere il rumore bianco dell'informazione.




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