martedì 24 giugno 2014

Phillip Lai e Moyra Davey al Camden Arts Centre


Due mostre in corso al Camden Arts Centre fino al 29 giugno.
Phillip Lai è un giovane artista nato in Malaysia e cresciuto in Inghilterra. Ha studiato arte al Chelsea College e avrebbe voluto fare l'architetto. forse proprio per questo motivo il senso dello spazio, dell'ambiente architettonico e il concetto di struttura sono così presenti nella sua opera.
La mostra di Lai, occupa lo spazio della room 3 e si intitola Besides. l senso di questo termine indica un qualcosa in più, in aggiunta, ma anche un oltre, come una sorta di significato ulteriore, non coglibile a un primo sguardo.
 La mostra di Lai è "besides" rispetto a quella di Moyra Davey in room 1-2.
Entrando nella sala si trova prima di tutto una struttura fatta di tubi del gas, teli di iuta e coperchi per pentole di alluminio. È una struttura precaria e che crea una sorta di barriera di fronte allo spettatore che entra. il titolo è Servants, e questo concetto di servitù è connesso sia ai singoli elementi della struttura che si sorreggono e ne sorreggono altri, sia alla iuta, tessuto naturale importato, a partire dal Settecento, dall'India, colonia, quindi "paese servo" della Gran Bretagna.
I tubi del gas sono anche presenti in un'altra opera in mostra: un parallelepipedo di cemento che galleggia a mezz'aria grazie proprio al sostegno di questi tubi in parte celati dal cemento stesso (sono all'interno del muro, proprio come accade realmente negli edifici). Un materiale d'uso industriale come il cemento è elevato a scultura e sollevato all'altezza del tronco umano, come se fosse un corpo sostenuto dalle ossa, i tubi, appunto.
Lì accanto, a ridosso della parete, Bones and Skin, un opera nata da un'esposizione di argenteria da tavola, veduta da Lai in un mercatino a Bruxelles. Le posate erano disposte su un tessuto pieghettato in modo tale da separare le une dalle altre; il tessuto, molle e trasformabile, assume una diversa forma conformandosi sul l'elemento rigido, le posate, proprio come se fossero la pelle e le ossa.
Una scultura un vetro resina imita la forma sto data della finestra del lato est e del soffitto; si intitola Me and my Iperbole, e Phillip Lai sottolinea come questo oggetto in apparenza gradevole abbia per lui invece un aspetto arrogantemente e pomposo.
Su un tappeto di gomma nera ricoperto da una lastra di vetro l'artista ha disposto una serie di sculture realizzate con l'uso di macchinari per creare le pentole che grazie a una forza centripeta deformano un disco di metallo fino a dargli la forma dello stampo campione. Questi oggetti di produzione industriale diventano pezzi unici disegnati dall'artista e disposti sul tappeto come le rocce di un giardino zen.
Lì accanto una scultura giocosa composta da un coperchio di plastica in cui ritagli di copertoni per auto si inseguono e si aggrovigliano come serpenti; di nuovo oggetti di produzione industriale ottenuti attraverso l'uso di stampi. lai è molto interessato all'interazione fra uomo e macchina.
Infine una mensola che anziché essere sospesa su una parete, si trova a terra e una lampada accesa pende dal soffitto andando a poggiare sulla mensola che impedisce il passaggio della luce, rendendola ridondante.









La seconda mostra è dedicata all'artista canadese Moyra Davey. 
la Davey è sempre stata un'appassionata lettrice e dovendo, per problemi di salute, passare molto tempo in casa, ha sviluppato un atteggiamento fortemente riflessivo e immaginativo, in contrasto col tempo veloce dell'epoca in cui viviamo.
Leggendo romanzi, cronache di viaggio e biografie, Moyra Davey ha trovato similitudini e parallelismi con la propria vita e la propria famiglia.
In particolare con la famiglia di Mary Wollstonecraft, scrittrice e femminista ante litteram, le sue figlie Fanny Imlay e Mary Wollstonecraft Godwin (poi Mary Shelley), e la loro sorellastra Claire Claremont. Moyra nota parallelismi tra i nomi delle sue sorelle e le date di nascita. così realizza un video e delle fotografie mutuando il soprannome delle figlie della Wollstonecraft, Les Goddesses.
Le immagini di sorelle dell'artista ricordano giovani membri di una gang al femminile, indipendenti, aggressive. 
Perché tutti vogliono raccontare una storia? Si chiede l'artista; quando si scrive un libro si parla di una storia che spesso è la propria e diventa anche quella di chi lo legge.
Il film di 50 minuti , del 2006, si concentra sugli anni trascorsi in psicoanalisi (50 minuti è proprio la durata di una seduta psicoanalitica, che la Davey ha praticato per anni), mentre Necropolis (2009) analizza la corrispondenza di Walter Benjamin e il passaggio di un suo testo in cui lo studioso parla di un orologio in una piazza che vedeva dalla finestra di casa sua e diventa motivo di riflessione sul trascorrere del tempo pubblico e privato. Il film è ambientato a Parigi, nei cimiteri di MontParnasse e Pere Lachasse, dove sono seppelliti numerosi personaggi celebri e in particolare scrittori.
Subway Writers  è invece la raccolta di una serie di fotografie scattate nella metropolitana di New York dove l'artista a colto persone che scrivevano: un atto molto intimo, svolto in un ambiente pubblico. Ogni fotografia piegata, timbrata e inviato alla galleria. Il viaggio della posta tradizionale è un percorso che necessita tempo, a differenza della posta elettronica, immediata, a cui oggi siamo abituati. La Davey vuole recuperare questo tempo, questa lentezza.



















sabato 7 giugno 2014

Mostre in corso alla Photographers' Gallery


Il rientro in patria mi ha un po' scombussolata, senza contare che il quel di Seriate è un po' difficile trovare un collegamento wifi...così è da un po' che non pubblico post e avevo ancora queste foto fatte alla Photographers'Gallery, dove attualmente sono in corso due mostre: la prima intitolata "Under the influence: John Deakin and the lure of Soho", che esplora gli angoli nascosti e i caratteristici personaggi del celeberrimo quartiere londinese di Soho tra gli anni Cinquanta e primi Sessanta.
Considerato uno dei più grandi fotografi inglesi del dopoguerra, Deakin si è destreggiato nel corso della sua carriera tra ritratti di intellettuali e artisti maledetti, scene di vita e fotografia di moda.
Il suo sogno era però quello di essere riconosciuto e apprezzato come pittore e in mostra si possono trovare alcuni suoi dipinti e collages che francamente...ce lo fanno apprezzare ancora di più come fotografo!
L'altra mostra espone invece gli artisti vincitori della Deutsche Borse Prize 2014 : Alberto Garcia-Alix, Jochen Lempert, Lorna Simpson e Richard Mosse.

Le foto di Garcia-Alix sono autoritratti in bianco e nero che mostrano la vita di eccessi dell'artista per circa quarant'anni, includendo la fine della dittatura franchista e la riconquista della libertà negli anni Ottanta. La fotografia è usata per mediare esperienze, paure, nevrosi e battaglie interiori.

Jochen Lempert studiò come biologo e dai primi anni Novanta iniziò a usare la fotografia per studi umani e del mondo naturale. Il suo approccio è al tempo stesso scientifico e poetico così come umoristico.

Richard Mosse esplora le intersezioni tra arte contemporanea e fotogiornalismo; il lavoro in mostra, "The Enclave", documenta aspetti del conflitto nel Congo orientale.
Mosse usa una camera di largo formato e pellicola agli infrarossi, trasformando in un intenso rosa il verde della vegetazione congolese e creando un toccante contrasto tra le immagini di questa immensa natura magica con i ritratti dei militari nascosti nella vegetazione.

Lorna Simpson connette nel suo lavoro fotografia, videoinstallazioni e più di recente materiali d'archivio e oggetti trovati, esplorando i temi dell'identità di genere, della cultura, del corpo e della memoria.